UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE


TESI DI LAUREA

DA FOZA AL MONDO
Storie di emigranti
1876-2006


Relatore: Ch.mo Prof. Filiberto Agostini

Autore: Dott. Gabriele Menegatti

Anno Accademico 2005 - 2006








PREFAZIONE

Il Comune di Foza è situato nella parte orientale dell’Altopiano dei Sette Comuni, nell’Alto Vicentino, a 1083 metri sul livello del mare. Posto tra Enego e Gallio, Foza è coronato a nord dalle vette che furono teatro dei conflitti mondiali e domina sui paesi della valle del Brenta allungando ad est il suo sguardo al Monte Grappa e alle Dolomiti, e a sud alla pianura vicentina, fino addirittura a raggiungere la città di Venezia nelle giornate più limpide. Il vasto territorio di Foza si estende su una natura geomorfologica piuttosto variegata che comprende dolci colli e vallate ma anche strapiombi rocciosi e dirupi di Khnotten o “pietre”.
Sono altresì presenti ampie distese verdeggianti, utili soprattutto per il pascolo, e fitti boschi ricchi di fauna tipicamente montana, tra i quali cervi, lepri, caprioli, galli cedroni ed aquile. Si narra che il territorio fosse persino attraversato dagli orsi, e pare che l’ultimo sia stato avvistato dal pastore Benedetto Ceschi detto “Benetti” deceduto recentemente all’età di 103 anni.

Le prime e principali attività che hanno favorito l’insediamento umano, consentendo così lo sviluppo di una comunità residente, furono per l’appunto la pastorizia, la caccia ed il taglio di legname. Queste occupazioni necessitavano, per il trasporto dei materiali, di un agevole collegamento con la pianura dove erano presenti i mercati e soprattutto la privilegiata via commerciale, il fiume Brenta. Non a caso, quindi, il centro del paese si trova su un colle lungo e stretto che si erge tra la Valpiana, che si congiunge alla Valfrenzela, a ovest e la Valcapra che prosegue poi nella Zonental o “Val Vecia” (Valle Vecchia), ad est. Anche la Valgadena ha rappresentato per Foza una strategica via per la pianura collegando la Valbrenta direttamente alla piana di Marcesina, particolarmente estesa e ricca di boschi e pascoli. E’ grazie a questi collegamenti che Foza, già allettante per le ricche risorse presenti “scoperte” sul suo territorio, vide accrescere il numero dei suoi abitanti e divenne oggetto di interesse da parte dei Signori della pianura. Nel frattempo a Foza si diversificarono anche le attività lavorative, tra le quali la produzione di carbone o di formaggio, grazie alla presenza ormai stabile di persone.

La storia di Foza è però ben più ricca e complessa di quel che apparentemente potrebbe sembrare già a partire dall’origine del suo nome che è tutt’oggi fonte di dubbi e teorie non ancora accertate in via definitiva. Alcuni fanno risalire il temine Foza ad un culto alla Dea Fugia, altri invece identificano Foza con una consuetudine legata al diritto alla legna per uso domestico (Fuagium) o al diritto al pascolo boschivo degli animali (Fugia), lo studioso dell’Altopiano Franco Signori si rifà invece al nome cimbro di Foza, Wüsche, che sta per “faggeto” che richiama tra l’altro l’attuale parola tedesca “Buchesche”, e collega il termine al paesaggio naturale di questi luoghi ricchi in vegetazione e, appunto, in faggi . Il primo documento ufficiale riguardante Foza è del 1085, in cui i Da Romano donano la montagna chiamata Fugia ai monaci benedettini di Sant’Eufemia di Villanova. Nel 1202 viene invece introdotto ufficialmente il nome Foza in un documento di compravendita in cui Ezzelino II cede i beni della famiglia Brenta, compresa Foza che diventa quindi proprietà del Monastero di Campese.

All’inizio del Duecento, per quanto riguarda i beni allodiali, Foza è di proprietà dei monaci benedettini di Campese che cedono in affitto le attività a malghesi, pastori e boscaioli. Appartengono inoltre al distretto di Vicenza la gestione civile e amministrativa e alla Diocesi di Padova il diritto di cura d’anime. Tuttavia, il territorio di Foza, per le suddette risorse allettanti, fu oggetto di conflitto e diatribe soprattutto all’estinzione della famiglia Da Romano e i suoi abitanti reclamavano ormai l’indipendenza dalla servitù feudale che li teneva sottomessi a Vicenza. Fu nei primi anni del Trecento che il paese legò il suo destino a quello dell’intero Altopiano e con i paesi a lui vicini si assoggettò ai Della Scala, gettando così le basi per un nuovo sviluppo comune, sviluppo soprattutto amministrativo come infatti verrà dimostrato dalla costituzione di una Federazione definita “Reggenza dei Sette Comuni” e all’epoca così presentata dai suoi amministratori: Sleghe un Lusàan, Ghenebe un Vüsche, Ghel, Rotz, Robàan, diise saint Sieben alten Comoine, prüüdare liibe. Con l’introduzione della Reggenza federale altopianese, anche a Foza, come negli altri sei comuni, il governo locale era gestito dal “decano” e dal “sindaco” che avevano il compito di amministrare le proprietà collettive, o comuniste, in modo saggio e a favore di tutta la comunità. Eletti dalle convicinie, o assemblee dei capifamiglia, essi rappresentavano il paese in Altopiano e di fronte allo Stato la cui autorità era incarnata nelle figure del Podestà, nell’epoca della Serenissima, e del Capitano di Vicenza.

Alla fine del Quattrocento furono introdotti due sindaci per gestire la cosa pubblica; essi erano eletti dalle due principali contrade, o “colonnelli” del paese: “Gavelle” e “Piazza”. Poiché il comune di Foza è esteso e presenta numerose contrade, il numero dei sindaci nel tempo aumentò a quattro . Inoltre, intorno al Seicento, furono apportate delle modifiche che introdussero ben dodici “consiglieri”, o “governatori”, che erano eletti dalla “convicinia” prima e dai singoli “colonnelli” poi, in modo proporzionale alla loro grandezza e alla loro popolosità. Tuttavia rimanevano molte difficoltà amministrative, considerando soprattutto il fatto che molti dei consiglieri eletti dalle assemblee mancavano ai loro impegni a causa della necessità di trasferirsi per diversi mesi in pianura durante il periodo invernale, quando scendevano per la transumanza delle greggi. La gestione del governo veniva così spesso lasciata a parenti o persone che non avevano di diritto tale potere e spesso quindi generavano caos ed irregolarità. Vanno sommati a questi elementi anche le difficoltà finanziarie causate da periodi di carestia che portarono la comunità di Foza ad indebitarsi pesantemente attraverso ipoteche e concessioni di usufrutto del territorio da parte di gente della pianura.

La già precaria situazione economica del paese venne ulteriormente accentuata dalla diminuzione del traffico sulla Valvecchia causata dall’apertura di una nuova strada per carri sul territorio di Gallio. Prima della sua costruzione, il Comune di Foza trainava il proprio legname e, per consuetudine, il legname proveniente dai boschi federali vicini alla valle, ma con la nascita della nuova strada Foza vide calare bruscamente il passaggio per il suo territorio. Ciò inasprì i rapporti con Gallio che tendeva anche a spingersi oltre il suo tratto di competenza contrastando i privilegi degli abitanti della valle. Nel frattempo anche Asiago aprì un nuovo percorso per il suo legname al fine di liberarsi da ogni servitù verso Gallio e costruì una ripida mulattiera di 4444 gradini, detta Calà del Sasso. Queste vie intensificarono i rapporti tra le popolazioni dell’Altopiano e quelle della destra del Brenta: Valstagna, Oliero e Campese
. Inoltre, anche a causa della scarsità di risorse idriche Foza rimase uno dei paesi più poveri dell’Altopiano dei Sette Comuni e a causa di ciò rifiutava la proposta del doge veneziano di formare una milizia altopianese stabile, altresì già prevista in caso di necessità dagli accordi della Federazione. Ma sotto grande insistenza fu quasi costretta ad accettare l’ambizioso progetto , nonostante l’economia e del comune e dei privati fosse in fase di collasso e non permettesse di distogliere gli abitanti dai loro lavori in boschi, campi e pascoli. Già prima della caduta della Repubblica Veneta, Foza si dirigeva verso la fine della sua amministrazione federale: i gravi problemi finanziari e la struttura delle attività economiche che imponeva un continuo nomadismo degli abitanti, contribuivano ad accrescere la malagestione del comune, deplorevole soprattutto nel contesto di una struttura governativa com’era la Reggenza dei Sette Comuni. Ma per Foza, così come per gli altri paesi dell’Altopiano, la fine definitiva di quell’epoca fu segnata dal crollo della Serenissima di Venezia, cui era rimasta fedele, e l’Altopiano stesso divenne terreno di scontro per i conflitti che videro protagoniste le truppe napoleoniche contro l’avanzata austriaca.

Fu con la vittoria di Napoleone che i Sette Comuni subirono la cessazione, dopo cinque secoli, dell’antica forma di governo vedendo definitivamente cancellare ogni traccia della loro struttura federale, e finirono per essere annessi al Regno d’Italia il giorno 29 giugno 1807. Foza subì in tal modo un ulteriore contraccolpo che di certo non favorì il suo riassestamento finanziario, anzi, il diritto di “pensionatico” fu definitivamente abolito nel 1860 mettendo così in crisi l’attività di pastorizia che fino ad allora aveva consentito a molti fozesi una piccola ma sicura rendita. Alla luce di un simile quadro, si possono forse più facilmente capire le motivazioni per cui i conflitti mondiali, vissuti in loco, hanno rappresentato per Foza due ennesimi contraccolpi tali da mettere a dura prova non solo il riequilibrio socio-economico ma addirittura l’esistenza stessa del paese. La situazione di “congenita” povertà finanziaria si è quindi trascinata nel corso dei secoli facendo tristemente contraddistinguere Foza, fino all’epoca più recente, anche dagli altri comuni montani. Lo scrittore altopianese Mario Rigoni Stern ha ricordato che, nonostante Foza avesse il minor numero di abitanti rispetto agli altri sette, aveva però “il più alto numero di famiglie numerose in assoluto”. Se da una parte il numero di abitanti di Foza fino al periodo della Seconda Guerra poteva rappresentare una speranza per il futuro, dall’altra, la mancanza di risorse, anche primarie quali acqua e cibo, e la conformazione del territorio non adatta a coltivazioni generavano situazioni di miseria che costringevano la maggior parte delle famiglie all’emigrazione. Da un’emigrazione stagionale e temporanea soprattutto verso paesi europei che richiedevano molta manodopera per lavori pesanti e pericolosi come i cantieri in miniera, si arrivò ad un’emigrazione di massa che vedeva la partenza di interi nuclei familiari.

Tutti concordano nell’affermare che l’emigrazione rappresenti per la storia Foza il più importante fenomeno sociale: mentre ogni famiglia oggi conta numerosi parenti all’estero, i dati statistici confermano la progressiva diminuzione nel saldo della popolazione. Consultando il Registro relativo al Movimento di Popolazione presso l’Ufficio dell’Anagrafe Comunale si può infatti constatare che l’andamento negativo delle immigrazioni agli inizi degli anni ’50 è accompagnato da una crescita delle emigrazioni, per esempio, con l’apertura delle frontiere nell’anno 1950, 38 maschi e 42 femmine emigrarono in località italiane mentre 2 maschi e 4 femmine tornarono a Foza . Dal 1950 si denota una crescita sempre più accentuata delle destinazioni transcontinentali che raggiunge il picco a metà anni ’50, quando l’Australia divenne una delle principali mete.

Mentre nel 1951 Foza contava all’incirca 1700 abitanti, negli anni a seguire il numero della popolazione residente scese considerevolmente: attorno al 1961 si contavano poco meno di 1400 abitanti e dieci anni dopo circa 850. Gli anni più recenti denotano una denatalità preoccupante che ha contribuito a mantenere basso il saldo della popolazione, in particolare ricordo gli anni 1999 e 2000 dove vi è un saldo negativo pari a -6 unità . Nonostante questo impoverimento nella struttura sociale, il paese ha cercato nuove risorse e nuovi stimoli. Negli ultimi trent’anni, Foza ha per esempio trovato una certa stabilità grazie allo sviluppo del turismo locale e con la conseguente apertura di attività ad esso connesso. Inoltre, la diffusione dei mezzi di trasporto consente agli abitanti di spostarsi quotidianamente verso gli altri paesi dell’Altopiano e soprattutto verso la pianura dove vi sono maggiori possibilità lavorative. Ciò permette a molti di restare nel paese di origine, anche se si deve notare che, a causa del clima rigido che dura molti mesi all’anno, molte famiglie non reggono più alle eccessive spese e alla pericolosità degli spostamenti sulle strade ghiacciate, così ritengono più conveniente trasferirsi definitivamente presso le città in pianura. Rimane quindi il problema dello spopolamento, seppur più lento, che determina l’invecchiamento della popolazione residente e procura di conseguenza la perdita di vecchie tradizioni popolari; inoltre, l’abbandono delle contrade e la minor manodopera causano un dannoso inselvatichirsi delle montagne. La mancanza di prospettive per il futuro determina in modo sempre più pressante il senso di abbandono nei giovani che decidono di restare a Foza e genera così una situazione di vera insoddisfazione sociale. Tra le attività economiche dell’Altopiano si è incrementato negli ultimi anni il commercio di funghi, attività che apporta un ulteriore introito stagionale ma che è sempre più compromessa per la difficoltà da parte dei funzionari dello Stato a ridimensionarla e tenerla sotto controllo.




Foza nella metà degli anni venti


Il problema dell’emigrazione moderna risulta impercettibile, seppur triste e pericoloso, rispetto a quelli che furono i grandi flussi che hanno caratterizzato la storia del paese determinandone così il vero e proprio crollo numerico nel saldo della popolazione. Tuttavia, l’interesse accademico per il fenomeno in questione dimostra quanto si renda necessario, oggi più che mai, lo studio di eventi originanti l’emigrazione stessa da Foza non solo per poter stabilire, e conservare, una istantanea del paese attraverso i dati ufficiali e le testimonianze degli emigranti ma anche per poter scoprire, sulla base dei racconti dei protagonisti stessi, l’evoluzione delle loro scelte di vita nei vari paesi di destinazione.




Val del Brenta di San Francesco di Foza


La presente ricerca, quindi, nasce dall’esigenza di avere un quadro completo del fenomeno migratorio che, se per Foza rappresentò la fine di un periodo, per le famiglie in partenza rappresentò il difficile inizio di una nuova vita. Ritengo quindi essenziale, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, porre l’attenzione ovunque nel mondo ci sia la presenza di gente di Foza e raccogliere i loro ricordi, le loro testimonianze al fine di riscoprire quanto sia ancora ben saldo il legame di questi con il loro paese di origine. A tal fine, il primo capitolo della presente tesi di laurea descrive la situazione locale in particolare con l’ausilio di dati statistici permettendoci così di capire quali fossero le condizioni economiche che indussero gli emigranti a partire. Attraverso i documenti ufficiali verranno illustrati il numero di famiglie in partenza, la composizione dei nuclei familiari, le destinazioni scelte e gli anni di riferimento.

Il secondo capitolo descrive invece la vita degli emigranti nei diversi luoghi di destinazione sulla base delle testimonianze attinte. Verranno perciò presentate le condizioni all’arrivo, i rapporti tra emigranti e quelli degli stessi con i locali, senza però scordare di ribadire quanto fossero profondi il sentimento e la nostalgia che tuttora li legano a Foza. Anzi, troviamo proprio in quei profondi legami la spiegazione di come ancora si mantengono vivi nel tempo e sono stati trasmessi alle nuove generazioni, favoriti, oggi, anche dai collegamenti possibili grazie alle tecnologie moderne. Attraverso le testimonianze raccolte già da lungo tempo da mio padre che sempre si è interessato della storia del suo paese e, di conseguenza, delle famiglie, il capitolo terzo si suddivide per paesi ed illustra le vicende degli emigranti di Foza in ognuno di esso. Alcuni racconti interessano l’emigrazione stagionale di uomini e donne che poi sono tornati a casa, mentre altri descrivono intere esistenze e sviluppi familiari nel nuovo paese divenuto seconda patria.

La tesi prosegue con un’appendice ricca in documenti fotografici che testimonia come sia stata ed ancora sia grande la partecipazione degli emigranti, fieri di poter raccontare e di veder prese in grande considerazione le loro difficili esperienze.

Vorrei quindi ringraziare tutti gli emigranti, lontani e vicini, che si sono dimostrati disponibili e che hanno dedicato parte del loro tempo a rispondere alle interviste e a raccontare le loro vicende, a mandare fotografie e resoconti di una vita, cartoline e documenti di espatrio, passaporti, articoli di giornale e libri da ogni parte del mondo. Tutti questi preziosi contributi hanno reso possibile questo lavoro. Voglio inoltre ringraziare particolarmente mio padre Luigi per l’aiuto costante nel recupero di materiale che da molti anni conserva e da cui già ha potuto attingere mia sorella in occasione della sua tesi di laurea. Un ringraziamento speciale va naturalmente al prof. Filiberto Agostini, docente dell’Università degli Studi di Padova, la cui sensibilità lo porta a stimolare gli studenti verso il recupero della memoria storica dei loro paesi e delle loro famiglie e grazie all’aiuto del quale è stato possibile sviluppare la presente ricerca. Tengo anche a ringraziare di cuore lo scrittore altopianese Mario Rigoni Stern, di cui nutro profonda stima, il quale ha accolto me e la mia famiglia con grande ospitalità concedendomi l’onore di ascoltare le sue memorie legate alle condizioni del paese di Foza.




Foza, 14 settembre 1910




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