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Serviva a fornire la lana e a concimare i pascoli della pianura. Cesserà quando, nel '700, si passa alla recinzione delle terre ed al loro uso più intensivo; nonché quando il commercio internazionale della lana comincia a fornire il prodotto a prezzi competitivi: la pastorizia sull'altopiano scemerà, resistendo solo a Foza, sino allo scorso secolo, tanto da meritarsi una razza ovina che prenderà appunto il nome di questo Comune. La razza "Foza".
Credo che così sia spiegato lo stemma, antico e moderno, di Foza.
Si è già detto che la vita del pastore imponeva continui spostamenti e la frequentazione sia della montagna che della pianura.
Vi è da notare che la nostra popolazione, che parlava una "strana" lingua che noi chiamiamo cimbro, una lingua che sembra essere alto-tedesca, (Foza in cimbro, si dice "Vusche") non poteva transitare in pianura senza conoscere anche la corrispondente lingua che si parlava al piano, il volgare, che poi diverrà l'italiano (o meglio il dialetto Veneto). Ne traggo la conclusione che i nostri pastori erano bilingui.
Mi è spontaneo dedurre che ciò ha imposto ai cervelli maggior allenamento e perciò maggiore elasticità, perché il pastore doveva abituarsi fin da subito a confrontarsi oltreché con altre lingue, con altre abitudini, assumendo perciò la cultura del confronto.
Anche da essa nasce, probabilmente, il desiderio di autonomia.
Desiderio che trova la sua prima espressione documentata nel diploma Scaligero del 1339 col quale ai sette comuni si consente libertà politica e commerciale, dietro la corresponsione di un modico tributo.
Si forma così un legame costituito dalla comune etnia e da interessi economici omogenei.
Nascerà perciò la "Spettabile Reggenza dei Sette Comuni", quasi una Nazione, in successivo rapporto di protettorato coi Visconti ed infine con la Serenissima: avrà propri ambasciatori e proprio esercito: la milizia dei Sette Comuni, col suo Palio, con le sue divise e gerarchie.
Altro passaggio importante; come si governava la gente?
Non c'era, almeno dopo la nascita della Reggenza, la servitù della plebe ne si conoscono episodi di tirannia. Del periodo Ezzeliniano si sa soltanto che questa Signoria trovava quassù milizie per il proprio esercito, considerate le più fedeli. E corre la tradizione che la guardia del Corpo di Ezzelino fosse scelta tra le genti di Foza. Ma caduto Ezzelino, il popolo impara a difendersi da solo (specie dai maneggi di Vicenza, volti ad espropriare e far sue le montagne alte), ad autogovernarsi.
Come?
Attraverso le vicinie, cioè le assemblee dei capifamiglia. I capifamiglia si trovano e ragionano delle cose del comune. Nel ragionare decidono e delegano Berto o Guido ad eseguire la decisione. Non c'è insomma la figura del Sindaco che governa tutti i problemi, per un certo periodo di tempo. C'è la figura del procuratore che è inviato dalla gente a svolgere solo una determinata e precisa funzione. La convocazione delle vicinie continuerà fino alla caduta della Serenissima e la lettura di questi documenti del popolo, i verbali, è interessantissima.

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